Innanzitutto vi consigliamo di ascoltare questo brano nell’interpretazione di Evgeny Kissin, cliccando qui.
Johannes Brahms, nato ad Amburgo nel 1833, era figlio di un semplice musicista di campagna, suonatore di contrabbasso, che gli impartì i primi rudimenti musicali. Successivamente fu notato per le sue doti da due musicisti molto seri, Cossel e Marxsen, che curarono la sua formazione di pianista e compositore. Soprattutto sotto la guida di Marxsen, fece progressi talmente rapidi che a 18 anni era già in grado di comporre brani artisticamente e stilisticamente maturi come lo Scherzo op.4 e le Sonate op.1, 2, 5 per pianoforte. A vent’anni, nel corso di una tournée (accompagnava al pianoforte il violinista ungherese Reményi), conobbe il violinista J. Joachim che, già celebre, lo introdusse nei più influenti circoli musicali tedeschi.
Se l’incontro con Liszt a Weimar (1853) lo lasciò indifferente, decisivo per la sua formazione fu quello con Schumann a Düsseldorf. Vedendo in Brahms una sorta di antidoto alla corrente “progressista” rappresentata da Liszt e Wagner, Schumann segnalò al pubblico il giovane musicista, in un vigoroso articolo sulla “Neue Zeitschrift für Musik” di quell’anno, come promessa della nuova generazione. Negli anni successivi la vita affettiva di Brahms fu segnata dalla profonda devozione per Clara Schumann, alla quale rimase vicino durante l’inguaribile malattia del marito (1854-56).
Il decennio 1853-63 fu un periodo di preparazione e di studio capillari: incoraggiato e affiancato dall’amico Joachim, Brahms coltivò esercizi di contrappunto sempre più ardui e si accostò alla tecnica degli strumenti in orchestra, al fine di ampliare il suo orizzonte tecnico-stilistico, fino allora ristretto nell’ambito dei Lieder e delle composizioni per pianoforte. È di questi anni il notevole gruppo di composizioni corali e per organo, spesso di eccezionale complessità tecnico-formale, alle quali fornì un contributo di esperienza l’attività svolta dal compositore dal 1857 al 1859 presso la corte del principe di Lippe-Detmold come maestro di cappella.
Fin dal primo viaggio a Vienna, nel 1862, la vivacità di cultura e di vita della capitale austriaca affascinarono Brahms, nato e cresciuto nelle provinciali città del nord; nel 1863 egli vi stabilì la propria dimora definitiva. II successo che in pochi anni riuscì a conquistare gli permise – dopo essersi dimesso dalla direzione della Wiener Singakademie (1863-64) e della Società degli Amici della Musica (1871-73), attività alle quali lo rendevano inadatto la sua natura violentemente sarcastica e la sua mancanza di diplomazia – di vivere dei soli proventi delle composizioni e delle frequenti tournées compiute, come pianista e come direttore delle proprie musiche, in varie città europee. Divenuto, negli ultimi anni, ancora più chiuso e intrattabile, morì nel 1897, un anno dopo Clara Schumann, di cancro al fegato.
Nell’attività creativa di Brahms la composizione pianistica costituì, come già per Beethoven, una costante essenziale e un fondamentale banco di lavoro su cui preparare gli strumenti indispensabili per affrontare altri generi. Lo stile pianistico di Brahms mostra, rispetto a quello dei suoi predecessori, una profonda originalità; le sue caratteristiche sono la robusta densità sonora, il sostanzioso lavoro della mano sinistra, il fitto movimento interno e la mobilità ritmica, oltre che un’ardua virtuosità tecnica poco incline tuttavia a manifestarsi all’esterno con passaggi appariscenti.
Opere di straordinaria brillantezza e vivacità inventiva, capaci di nascondere sotto una fresca immediatezza un raffinatissimo studio timbrico e armonico, le ventuno Danze Ungheresi nacquero tra il 1852 e il 1869 per essere eseguite al pianoforte a quattro mani; Brahms stesso, poi, trascrisse le prime dieci per pianoforte a due mani (molto eseguite da Clara Schumann) e la prima, la terza e la decima per orchestra. Esistono anche altre trasposizioni orchestrali curate da diversi compositori tra cui Dvořák. Le
Danze Ungheresi sono ancora oggi tra le opere più popolari di Brahms: qui non troviamo il dotto e severo ammiratore di Bach e Beethoven, ma piuttosto il giovane amburghese che si esibiva nei caffè del porto e che spesso accompagnava il violinista ungherese Eduard Reményi, con un ampio repertorio di danze e canzoni magiare.
In un’epoca nella quale l’idea di musica nazionale si era da poco concretizzata, e in cui le indagini etnomusicologiche erano ancora in uno stato embrionale, Brahms scrisse “all’Ungherese” senza avere pretese filologiche o documentarie. La Danza Ungherese n.1 si ispira, così, alla Isteni Czárdás o”Czárdás sacra” dell’ungherese Sárközy; lo stile è quello appassionato e trascinante delle melodie zigane, caratterizzato da una netta contrapposizione tra episodi ritmicamente impetuosi e malinconicamente lenti.
Elena Zuccotto