Innanzitutto vi consigliamo di ascoltare questo brano nella versione per pianoforte, nella esecuzione di Daniel Varsano, cliccando qui.
Vi suggeriamo inoltre, cliccando qui, di ascoltarlo nella versione per voce e pianoforte, nella interpretazione del soprano Jessye Norman.
Erik Satie, compositore francese, nacque ad Honfleur in Normandia nel 1866, figlio di un normanno e di una scozzese. Trascorse la sua infanzia tra la Normandia e Parigi, dove iniziò a frequentare il Conservatorio nel 1878. Nel 1885, stanco dell’insegnamento formalistico del Conservatorio, abbandonò gli studi per arruolarsi nell’esercito. Capì in fretta che l’esercito non faceva per lui e, alcune settimane più tardi, si espose volontariamente al freddo, ammalandosi di congestione polmonare e facendosi quindi riformare.
Nel 1887 si trasferì a Montmartre diventando ufficialmente “artiste”; fu pianista del locale di cabaret “Chat Noir”, aderì per breve tempo al movimento mistico dei Rosa-Croce, fece amicizia con Debussy e compose i primi pezzi antiformalistici per pianoforte (Sarabandes, Gnossiennes, Gymnopédies). Trasferitosi nel sobborgo parigino industriale di Arcueil nel 1905, quarantenne, decise di ricominciare da capo e si iscrisse alla Schola Cantorum per studiare il contrappunto con A. Roussel e la composizione con V. D’Indy, diplomandosi nel 1908.
In polemica sia con l’accademismo musicale, sia con l’impressionismo debussiano, Satie suscita l’interesse di Diaghilev, di Picasso e infine di Cocteau, col quale diverrà, nel 1918, l’animatore del Gruppo dei Sei. Alla musica “dotta” Satie contrappone ora una “musique de tapisserie”, una “musique d’ameublement” che corrisponde ai postulati estetici enunciati da Cocteau in Le Coq et l’Arlequin (1918).
Verso la fine della guerra e subito dopo, Satie fece scandalo con due spettacoli dei quali era evidente il carattere provocatorio, assai vicino a quello del contemporaneo dadaismo: Parade, definito “ballet réaliste”, testo di Cocteau, scene e costumi di Picasso, coreografia di Massine, rappresentato dai Balletti Russi di Diaghilev a Parigi nel 1917, e Relâche, definito “ballet instantanéiste”. Intanto, oltre al Gruppo dei Sei, altri musicisti si erano raccolti attorno a Satie formando la cosiddetta “École d’Arcueil”. Ammalatosi di epatite, fu convinto dagli amici ad abbandonare Arcueil e visse gli ultimi mesi all’Hotel Istria di Montparnasse, dove morì il 1 luglio 1925.
Erik Satie seppe creare una scrittura musicale del tutto originale: in Parade, ad esempio, introdusse suoni molto innovativi come sirene, macchine da scrivere ed altri effetti sonori non considerati tradizionalmente musicali; scrisse brani difficilmente inquadrabili nei generi conosciuti, come le celebri tre Gymnopédies e le sei Gnossiennes; sperimentò nuove forme di suono inventando di fatto la tecnica del pianoforte preparato inserendo per la prima volta degli oggetti dentro lo strumento nell’opera Le Piège de Méduse; compose inoltre anche il brano più lungo della storia, Véxations: trentacinque battute ripetute 840 volte per una durata totale di circa venti ore.
Con il suo spirito da autodidatta, unito ad una straordinaria fantasia e ad un umorismo acre, a volte corrosivo, Satie agì come un provocatore, un avventuriero dell’arte, che lottava contro “la décadence esthétique et morale de notre époque”, ossia il romanticismo e il neo-wagnerismo, per restituire alla musica francese le caratteristiche nazionali, come dimostrano il suo gusto per le piccole forme, i giochi d’effetto limitati e la preminenza data al pianoforte. Satie apre così la via a Debussy, soprattutto per quanto riguarda il ritorno alla modalità e la creazione di un’atmosfera sottile e raffinata anche se ben lontana, come dicevamo, dall’Impressionismo. Egli trovò inoltre in Stravinskij un rivale pericoloso: quando scoprì la frenesia e il colore di Petruška e dell’Uccello di fuoco, Satie ebbe la certezza che la sua più grande risorsa poteva consistere nella semplicità.
Je te veux, valse chantée su un testo di Henry Pacory, è un valzer sentimentale scritto per Paulette Darty, di cui Satie fu pianista accompagnatore per un periodo di tempo. Emerge in questo brano tutto lo spirito delle musiche da cabaret, di cui Satie era un noto protagonista autodefinendosi ironicamente “tapeur à gages”, strimpellatore a pagamento (amava anche vantarsi, con gli amici, di aver ricevuto “un incarico di grande bassezza”). Il valzer fu pubblicato nel 1903, ma probabilmente fu composto precedentemente come il valzer Poudre d’or e il rag Le Piccadilly.
Satie scrisse varie versioni del valzer Je te veux: per pianoforte e voce, per pianoforte solo, per orchestra di fiati e per orchestra intera (includendo anche un Trio). Il testo consiste in due strofe e un ritornello; ecco l’originale in francese e una versione tradotta in italiano: