Innanzitutto vi consigliamo di ascoltare questo brano nell’interpretazione di Arturo Benedetti Michelangeli, cliccando qui.
Figura geniale di innovatore, profondamente anticonvenzionale, il compositore francese Claude Debussy (1862-1918) rivoluziona l’armonia, il ritmo, la sonorità e la forma della musica occidentale della seconda metà del XIX secolo. Frequentatore di circoli letterari e artistici parigini di fine secolo, fu influenzato dal movimento simbolista francese e condivise con gli Impressionisti l’attenzione per la natura.
L’epoca in cui Debussy mosse i suoi primi passi fu epoca di crisi dell’arte in tutta Europa: concluso il ciclo storico del Risorgimento in Italia, sconfitta la Francia dalla Prussia, ha termine il periodo delle grandi idealità, degli eroici ardori.
All’affresco si preferisce il quadretto intimo e il paesaggio sognante, al poema epico il sonetto, alla sinfonia e al poema sinfonico il “momento musicale”. Debussy ha scritto pagine in cui tutta la musica è in ciascun momento, e non solo l’accordo, ma ciascuna nota sembra vivere d’una vita intensa. Le armonie debussiane si concatenano non perché nascano l’una dall’altra, riducendo il tutto ad un processo di successive implicazioni (come previsto dall’armonia tradizionale), ma perché esse si evocano e si suggeriscono a vicenda; non si preparano e non si risolvono: appena nati, gli smisurati fiori dell’accordo si volatilizzano e di essi non resta che il profumo.
Con Debussy inizia una nuova epoca della storia della musica: nuova sensibilità, nuova concezione dell’opera d’arte e mezzi adeguatamente nuovi. L’atmosfera è del tutto mutata: l’arte musicale si adegua alle nuove esigenze create dalla poetica moderna, e Debussy ne è uno dei rappresentanti più compiuti e geniali in questa fase storica.
“Io tento di fare altro”, scrive Debussy, “un certo modo di intendere la realtà, cosa che gli imbecilli definiscono impressionismo…” Quale sia questo “certo modo di intendere la realtà” Debussy ce lo rivela nei due libri di Préludes per pianoforte. Scritti in un quadriennio (1909-13), nei ritagli di tempo della sua attività “ufficiale” di compositore, che lo vedeva impegnato in opere di ben più ampie dimensioni (Le martyre de Saint-Sébastien, i balletti Khamma e Jeux), questi brevi schizzi pianistici sono come le pagine di un diario e devono quindi essere idealmente sfogliate in un ambiente appartato, lontano da sguardi indiscreti: musica da eseguirsi “entre quatre-z-yeux“, come fu definita dallo stesso Debussy; non recano un vero e proprio titolo, ma un’espressione allusiva posta al termine del brano, preceduta da tre puntini: un’immagine evocata, piuttosto, che si materializza quando si spengono le ultime evanescenze sonore.
Nel preludio “Quello che ha visto il vento dell’Ovest” Debussy apporta l’indicazione iniziale “Animé et tumultuex“; fortemente visionario, quasi allucinante, il brano è più un poema in musica che un preludio e richiede al pianoforte, alla maniera di un Liszt trasfigurato, tutto ciò che lo strumento è in grado di offrire al fine di rendere in suoni l’immagine di una tempesta furiosa e stupefacente. L’elemento naturalistico del vento qui non è più la tradizionalmente decantata “delicata brezza amorosa”, ma assume l’immagine forte e imponente del pauroso vento dell’Atlantico, foriero di distruzioni ed epocali cambiamenti.
Elena Zuccotto