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Nato nel 1770 a Bonn da una famiglia di origine fiamminga, figlio di un cantante alcolizzato, Ludwig van Beethoven studiò musica nella città natale sotto la guida di Neefe, musicista ben preparato che gli diede un buono stimolo a studiare seriamente e che gli aprì ampie prospettive non solo sul mondo musicale ma anche su quello letterario e filosofico. Altrettanto importante per Beethoven fu l’arrivo a Bonn, nel 1784, del giovane arcivescovo Maximilian Franz, che trasformò radicalmente l’atmosfera stagnante della cittadina. L’arcivescovo lo prese a suo servizio nello stesso anno e tre anni dopo gli concesse di recarsi a Vienna per studiare con Haydn, che Beethoven aveva già conosciuto di sfuggita a Bonn. A Vienna, a parte la fugace presenza del vecchio Haydn e qualche presunto contatto con Mozart, il giovane musicista approfondì lo studio con altri maestri: Schenk, Albrechtberger e il potente Salieri.
La sua abilità di pianista e soprattutto la sua fama di improvvisatore non tardarono ad aprirgli le porte della nobiltà viennese, indispensabile trampolino di lancio per l’attività nelle pubbliche sale da concerto che cominciavano a moltiplicarsi e per i lucrosi rapporti con le case editrici musicali, allora in pieno sviluppo. La forte personalità e il caparbio senso delle cose non potevano non fare di Beethoven l’antesignano del libero professionismo: egli si sentiva profondamente consapevole, come uomo di cultura, della propria funzione sociale, una funzione che gli dava il diritto di trattare da pari a pari con i suoi stessi mecenati.
Il ventennio compreso tra il 1795 (l’anno del suo primo concerto pubblico) e il 1815 (quando, a causa della sordità, fu costretto ad interrompere ogni attività di pianista e direttore), costituì per Beethoven il periodo di maggior fortuna mondana ed economica. Godette, in quegli anni, della protezione di autorevoli personaggi, come il principe Lobkowitz, il principe Lichnowsky o l’arciduca Rodolfo, fratello dell’imperatore, alcuni dei quali non esitò a trattare talvolta con orgoglioso disdegno. Compose in quel periodo la maggior parte delle sue opere più famose: 8 delle 9 Sinfonie, 27 delle 32 Sonate per pianoforte (fra cui quelle soprannominate Patetica op. 13, Al chiaro di luna op. 27 n. 2, Pastorale op. 28, Aurora op. 53, Appassionata op. 57); tutte le 10 Sonate per violino e pianoforte, oltre alle 5 Sonate per violoncello e pianoforte e ad alcuni Trii per violino, violoncello e pianoforte; 11 dei 16 Quartetti per archi; i 5 Concerti per pianoforte e orchestra; le musiche di scena per i vari drammi (fra cui quelle per il Coriolan di Collin e per l‘Egmont di Goethe); innumerevoli Lieder per canto e pianoforte; la Messa in do maggiore e, infine, l’opera teatrale Fidelio.
Ma nello stesso periodo Beethoven iniziò ad essere tormentato dalla sordità, i cui primi sintomi si manifestarono intorno al 1798 e che progredì fino alla completa atrofia del nervo acustico. La consapevolezza della sventura portò il musicista a terribili crisi di sconforto, di cui abbiamo testimonianza nel cosiddetto “testamento di Heiligenstadt” (1802). Erano crisi dalle quali Beethoven riemergeva grazie al suo naturale ottimismo, via via sublimato in amore ideale per l’intera umanità: ciò non toglie che esse contribuirono ad inasprire i già complessi contatti sociali e i difficili e sfortunati rapporti con le donne. Nonostante questo, Beethoven fu un compositore stimatissimo dai contemporanei; morì a Vienna all’età di 57 anni, condotto alla tomba da una folla di circa ventimila persone.
Il compositore tedesco si misurò col pianoforte per un lungo arco di tempo, e, fedele interprete dei rivolgimenti politici che agitavano l’Europa, vi riversò un interesse particolare, raggiungendo nelle 32 Sonate esiti nei quali si sono voluti vedere aspetti addirittura più significativi delle tanto note conquiste sinfoniche. Beethoven dedicò le tre Sonate dell’op. 10 alla contessa Anna Margarete von Browne. Suo marito, il conte von Browne-Camus, era un ufficiale di origine irlandese nel Servizio Imperiale Russo a Vienna e fu un generoso mecenate di Beethoven tra il 1797 e il 1803. La Sonata op. 10 n. 2, composta tra il 1796 e il 1798, è la sesta delle 32 Sonate ed è strutturata in tre movimenti: Allegro – Allegretto – Presto. A differenza della gran parte delle sonate classiche, qui manca il movimento lento, inteso come momento riflessivo e statico, di solito posto al centro dell’intera Sonata. Le Sonate dell’op. 10 rappresentano un passaggio fondamentale nella carriera del compositore, assorbendo e contemporaneamente superando le influenze di Mozart e Haydn, mettendo così delle solide basi per il suo originale e inimitabile sviluppo artistico. Il percorso beethoveniano, infatti, sarà in grado di cambiare per sempre le sorti della musica, consegnandoci un mondo musicale completamente nuovo e infinitamente fecondo, alle soglie del Romanticismo.
Elena Zuccotto