Vi raccomandiamo innanzitutto di ascoltare questo brano musicale nella interpretazione di Arturo Benedetti Michelangeli, cliccando qui.
Claude Debussy nacque nel 1862 in Francia a Saint-Germain-en-Laye, figlio di piccoli commercianti di porcellane; a dieci anni entrò al Conservatorio di Parigi per studiare pianoforte e composizione.
Nel 1884 ottenne il prestigioso Prix de Rome con la scena lirica L’enfant prodigue e rimase nella capitale italiana fino al 1887.
Rientrato a Parigi, iniziò a frequentare il salotto di Mallarmé e altri ambienti artistici legati all’impressionismo e al simbolismo. Nel frattempo approfondì il suo interesse per Wagner in due viaggi a Bayreuth nel 1888-1889; fu molto attratto anche dall’arte antiaccademica del compositore russo Musorgskij e dalle musiche dell’isola di Giava ascoltate all’Esposizione di Parigi del 1889.
Grazie a questi influssi, sviluppò uno stile del tutto personale e innovativo, caratterizzato dall’uso di scale arcaiche e di arabeschi orientaleggianti.
Nelle liriche giovanili, musicate su testi di Baudelaire e Verlaine, Debussy cambia l’”alfabeto” della musica.
L’orecchio musicale occidentale è abituato, per lunga tradizione, a riconoscersi e trovarsi a suo agio nella musica costruita su una scala di sette suoni che sembrano tutti ugualmente distanti tra loro: in realtà invece il terzo e il quarto, oppure il secondo e il terzo, sono più vicini, così come il settimo e quello seguente, l’ottavo, che è la nota di inizio della scala successiva.
Debussy sceglie, invece, di usare una scala diversa e a noi estranea, in cui i suoni sono realmente equidistanti tra loro e che, per motivi matematici visto l’allungamento degli intervalli, sono sei invece di sette: l’ascoltatore ne rimane spiazzato e la musica appare veramente esotica e inconsueta.
Il primo grande successo arrivò nel 1894 col poema sinfonico Prélude à l’après-midi d’un faune, ispirato al componimento di Mallarmé.
Ma il vero e proprio rinnovamento dello stile sinfonico avviene nei tre schizzi sinfonici La mer. In quel periodo Debussy si separò dalla moglie Rosalie Texier, che tentò di suicidarsi e si unì a Emma Moyse, divorziata da un ricco banchiere; ne nacque un grosso scandalo, al punto che Debussy ed Emma, nel frattempo incinta di lui, dovettero fuggire in gran segreto in Inghilterra. Al senso di isolamento che ne derivò al musicista, si aggiunsero poco dopo le sofferenze provocate da un tumore maligno, che lo avrebbe portato alla morte nel 1918. Ciononostante, gli ultimi anni di vita furono attivi e fecondi: compì alcune tournées all’estero e compose, tra l’altro, i cicli pianistici delle Images (1905 e 1907), dei Préludes (due libri, 1910 e 1913) e le Études (1915).
Nei Préludes, di cui Emanuele Ferrari ci propone il n.9 del primo libro, Debussy esprime ai massimi livelli la sua estrema ricerca di varietà timbriche e sottigliezze dinamiche. Il titolo è un riferimento evidente all’opera omonima di Chopin, che a sua volta si era ispirato ai preludi del Clavicembalo ben temperato di Bach. Tuttavia, l’opera di Debussy si distacca da questi modelli per l’assenza di un ordine programmatico e più in generale per una più accentuata libertà formale.
In questa raccolta Debussy scrive i titoli alla fine di ogni pezzo, anziché all’inizio, per non influenzarne in alcun modo l’interpretazione attraverso suggestioni extra-musicali.
I temi poetici a cui si ispira sono quelli più cari al contemporaneo clima culturale simbolista ed impressionista come il mare, la natura, l’antichità, la Spagna. Proprio a quest’ultimo tema si ispira il preludio n.9. La serenata interrotta, ha, tra i preludi, una caratteristica unica: si propone, infatti, come un vero e proprio tributo alla memoria del musicista spagnolo Albéniz, di cui utilizza il medesimo stile chitarristico, uno dei tipici segni distintivi del folklore di matrice iberica.
Elena Zuccotto